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Sempre in tema di piante officinali oggi parleremo di piante aromatiche e del rapporto tra le piante e la profumeria.

Le piante aromatiche

Le piante aromatiche sono quelle piante contenenti sostanze odorose (gli aromi appunto), i cosiddetti oli essenziali. Possono essere specie arboree, come l’alloro, il limone o l’eucalipto, arbustive, come la rosa o il ginepro, ma più spesso si tratta di piante erbacee come la camomilla, l’iris o la melissa.

Gli oli essenziali, che le piante usano per vari scopi come attirare gli insetti impollinatori o respingere quelli dannosi, possono essere distribuiti in tutta la pianta o localizzati in determinati organi, come i semi (anice, vaniglia, ginepro, pepe, caffè, ecc.),i bulbi o radici (cipolla, aglio, iris ecc.), le foglie (tè, tabacco, ecc.) o perfino il legno (sandalo, canfora, ecc.). Sono sostanze volatili e, proprio come l’olio d’oliva, non si sciolgono in acqua ( tendono anzi a galleggiare) ma sono solubili ad esempio in una crema neutra.

Spesso gli oli contengono anche proprietà curative: ad esempio la canfora serve si a tenere lontane le tarme dai nostri armadi, ma anche, tramutata in pomata, per lenire i dolori articolari e muscolari.

 

 

 Le piante e la profumeria

Dalle piante ai profumi della storia
L’arte dei profumi è molto antica ed anche la tecnica per crearli si è evoluta con il passare dei secoli.
Egiziani, assiri, babilonesi, che utilizzarono inizialmente i profumi soltanto per le cerimonie religiose, ricavavano le essenze facendo macerare erbe profumate in olio o a partire da resine grezze. (mirra,incenso etc.). Non utilizzavano però fiori.
Con i Romani l’arte di produrre profumi si andò diffondendo in tutta Europa e raggiunse livelli altissimi: la città di Pompei fu uno dei centri più rinomati dell’ “ars profumandi”, fino alla sua distruzione ad opera del Vesuvio. Non era ancora diffuso in quei tempi però il processo di distillazione, forse già conosciuto 5000 anni fa nella valle dell’Indo, ma riscoperto e introdotto dagli arabi solo successivamente, per cui il profumo antico è caratterizzato da una base costituita da grasso animale e olio vegetale, dal quale deriva il nome latino di “unguentum”.

Gli ingredienti base dei profumi di 2000 anni fa erano rose, gigli, foglie di basilico e di mirto, ma anche gelsomino, lavanda, rosmarino etc. Le manifatture italiche dei profumi scompaiono quasi totalmente verso la fine del II sec. d.C., a vantaggio delle manifatture alessandrine delle coste della Palestina, della Fenicia e dell’Egitto: così al gelsomino, alla rosa, alla lavanda, al mirto, al timo, al garofano, alla violetta, al rosmarino, si aggiunsero l’ambra, il muschio, l’incenso, la cannella, e i legni odorosi come l’aloe e il sandalo che profumavano le moschee.

L’importazione, lo studio e la coltivazione di specie orientali nella Spagna islamica, intorno all’anno mille, rappresentano la connessione con le coltivazioni e le estrazioni di piante aromatiche che poi si svilupperanno nel sud della Francia, determinando la nascita della profumeria europea. E fu in questo periodo che proprio un medico arabo, Avicenna, distillò il primo olio da un fiore: la rosa.

La profumeria europea nasce nel Medioevo, quando con le crociate si importarono dall’Oriente materie prime e tecniche del profumo e gli alchimisti d’Europa scoprirono l’alcol etilico. La distillazione e la fabbricazione dei profumi si diffusero ben presto ovunque: va detto che inizialmente erano però usati a scopo medicamentoso, e non per ornamento personale. Si credeva infatti che i profumi avessero proprietà disinfettanti e proteggessero dalle epidemie.

Durante il Rinascimento, segnato dalla riscoperta dell’antichità greco-latina e dall’invenzione della stampa, un gran numero di opere tecniche in italiano ed in francese divulgano ricette di acque odorose per profumare le vesti, il corpo, le case, ma anche di profumi secchi per guanti e cinture, la cui moda, introdotta in Francia dall’Italia e dalla Spagna contribuì alla prosperità della concerie di Grasse e fece di questa città del sud della Francia uno dei più grandi centri per la fabbricazione di profumi d’Europa.
Furono la diffusa carenza di igiene e pulizia personale che decretarono tra le classi della nobiltà d’Europa l’ uso smodato di profumi per nascondere la sporcizia e vincere i cattivi odori. Apparvero così le prime acque profumate quali l’Acqua d’Ungheria e, molto più tardi, l’Acqua di Colonia e nacquero le prime famose case di produzione di profumi, la cui fortuna era spesso legata all’abilità del solo proprietario.

Dal Rinascimento alla prima metà del XIX° secolo, si ricorse alla profumeria secca per usi diversi: polveri per sacchetti, per il viso, per la parrucca, commercializzata alla rinfusa in grandi scatole dai decori raffinati. La profumeria ricevette un colpo funesto nel periodo appena successivo alla Rivoluzione francese, poiché si desiderava spazzare via tutto ciò che ricordava la Corte di Luigi XVI, ma tornò rapidamente in auge durante il periodo napoleonico.
I profumi di oggi provengono da questa lunga tradizione, ma la scoperta dei prodotti di sintesi, alla fine del secolo scorso, ha cambiato in modo considerevole sia il modo di elaborare il profumo, sia quello di percepirlo. Non muta però la sostanza di partenza dei profumi più pregiati: si tratta sempre di un olio essenziale.

Le piante più note per la produzione di oli Gelsomino
Originario del Malabar nelle Indie Orientali, fu importato nell’Europa dai navigatori spagnoli attorno al 1500. Ma se ne trovano tracce in Italia anche prima di quel tempo: si narra infatti che Cosimo I de’ Medici, volendo esserne l’unico possessore, proibì severamente ai suoi giardinieri di regalarne anche una sola pianta e di riprodurlo in molti esemplari. Ancora oggi in Toscana il Gelsomino italiano viene aggiunto dalle spose al bouquet, affinché porti fortuna al futuro marito. Il Gelsomino Sambac , o Gelsomino indiano, viene utilizzato largamente in profumeria ed è una varietà caratterizzata da un odore penetrante, intenso e sensuale. Ma è a Grasse che si coltiva la varietà più costosa e apprezzata di gelsomino, il Jasminum Grandiflorum, dagli effluvi più delicati e la cui produzione è riservata ai marchi più esclusivi: è l’unico ammesso nella formula segreta di Chanel N°5.

Lavanda
La lavanda è entrata a far parte della tradizione popolare grazie al suo delicato, fresco e persistente profumo. Da sempre è, infatti, utilizzata per profumare la biancheria. Il nome “lavanda” è stato recepito letteralmente nella lingua italiana dal gerundio latino “lavare” (che deve essere lavato) per alludere al fatto che questa specie era molto utilizzata nell’antichità (soprattutto nel Medioevo) per detergere il corpo.
Due sono le specie attualmente coltivate in Italia: la Lavanda vera (Lavandula officinalis) e il Lavandino (un ibrido tra la Lavandula officinalis e la Lavandula latifolia). La prima, la lavanda comune, è coltivata soprattutto in Emilia e in Toscana, mentre il lavandino è una tipica coltura ligure (provincia d’Imperia) e piemontese

Rosa
La Rosa giunge dalla Persia,  dove si iniziò a coltivarla grazie alla situazione climatica e, ben prima della nascita di Cristo, venne portata in Europa.. I Greci ed i Romani ed i la resero sacra e la consideravano un dono di Afrodite, dea dell’Amore.

Anche i templi venivano decorati con tralci di rose. Esistono oggi due regioni principali in cui vengono coltivate le rose dalle quali si ricavano le essenze: la prima è composta da Bulgaria e Turchia, dove si coltiva soprattutto la Rosa damascena, la seconda comprende il Sud della Francia e il Marocco, dove si coltiva soprattutto la Rosa centifolia. Sono necessari 1400 fiori per ottenere 1 grammo di prezioso olio essenziale che rappresenta il distillato naturale di rosa. Per ottenere 1 chilogrammo di olio essenziale sono necessarie 3 tonnellate di rose.

L’iris fiorentina o giaggiolo
Il nome giaggiolo nasce nel xv secolo.per indicare l’Iris florentinias, e deriva dal termine ghiaggiuolo o ghiacciolo: probabilmente è dovuto alla forma del bocciolo di questa pianta da fiore, che ricorda appunto un ghiacciolo anche nel colore. E’ una pianta erbacea, , che in Toscana cresce spontanea un po’ in tutte le aree collinari, con belle foglie lunghe e spesse della stessa tonalità della salvia, il fiore grande è di un colore incerto fra il viola chiaro e il celeste, il profumo è intenso e un po’ acre.
Nella fabbricazione dei profumi si usano i rizomi (cioè le radici) di questa pianta, che vengono privati della corteccia, seccati per un anno intero – in passato tre anni- e triturati prima della distillazione al vapore. Il procedimento d’estrazione è lungo e complicato ed ha un rendimento mediocre:questo spiega il prezzo elevato dell’essenza ed il fatto che si usi soltanto per i profumi più ricercati.

La coltivazione per scopi commerciali di questa pianta, che iniziò in maniera sistematica a metà dell’Ottocento (era infatti già praticata come coltura marginale sui balzi e sulle prode dei campi dalle massaie delle famiglie contadine, che utilizzano i soldi ricavati dalla vendita dei rizomi per integrare lo spesso misero bilancio famigliare e far la dote alle figlie) e raggiunse presto notevoli quantitativi di produzione grazie alla costante e consistente domanda da parte di aziende francesi e del nord Europa, si diffuse soprattutto nel Chianti e nell’Alto Valdarno per poi ridursi drasticamente a metà del ‘900 a causa della concorrenza di prodotti di sintesi, che svolgono la stessa funzione (o quasi) a costi notevolmente inferiori, ed al crescente diffondersi dalle meno faticose e sempre più redditizie coltivazioni di olivi e di vigneti. Rimangono a ricordo di questa tradizione solo alcuni ettari di giaggiolo coltivati ai margini dei terrazzamenti delle colline del Pratomagno e del Chianti, e la Festa del giaggiolo, che si svolge ogni anno a San Polo in Chianti in ricordo di questa importante voce dell’economia Toscana.

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